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La vita tra ormeggi e vari

Il mare e la navigazione sono due metafore alquanto comuni per descrivere la vita e il vivere umano. Sempre la vita stupisce; è la vera, ultima "croce e delizia" del nostro essere; non ci basta mai, la sprechiamo sempre, la amiamo anche quando ci fa soffrire, non possiamo farne a meno; dal "più vita padre" di Roy in "Blade Runner" a "ogni volta ritornare a vivere" di Renato siamo sempre qui, a parlare della vita come quel leopardiano "pensiero dominante" che ci definisce, attanaglia, inquieta, riempie. Eppure vivere non è mai facile, mai scontato; la cosa che più ci sta a cuore è come se ci venisse meno spontanea e tante volte la nostra vita non è vita, è un simulacro, una larva di vita e non certo perché non facciamo nulla di straordinario; non credo, infatti, che lo spessore del vivere si possa misurare con il criterio dell'eccezionalità perché non è questione di quello che fai ma di come tu fai quello che hai davanti. E capita così con estrema facilità che si smetta di vivere, che la vita diventi scontata e inutile, ripetuta e avvilente, priva di stimoli e acquitrinosa. Succede spesso e nemmeno te ne accorgi; un giorno ti svegli e cominci ad avvertire un sottile disagio che ti accompagna, prende sempre più piede e alla fine, grazie al Cielo, ti scuote, ti fa emergere dall'apnea, ti fa riprendere in mano la vita. È difficile ribellarsi da soli al masso schiacciante dell'abitudinarietà che livella tutto, dal rischio di sentirsi arrivati e dunque di fermarsi. Il più delle volte sono i fatti e i testimoni che ti scuotono e ti svegliano; viene il momento di riprendere le redini dell'esistenza, di ricominciare a vivere quando ti accorgi, per quello che accade o che senti o che realizzi, che finora per un po' o per troppo hai perso tempo, e non puoi (né vuoi) sprecarne altro. Viene il momento di varare di nuovo la nave. Penso che nella vita siamo sempre tra ormeggi e vari, tra la tentazione di ancorare la nave al porto e il desiderio ricorrente e inestirpabile di prendere il largo. Ci sono tempi in cui il presente è avvertito come appesantito e asfittico, travolto più che edificato dalle circostanze che si vivono; accade così che quanto riempie il tempo alla fine svuota l'io ed induce alla rassegnazione, alla tentazione di gettare l'ancora e di ormeggiare nel porto, luogo stabile e sicuro ma dalle acque fetide, melmose e malsane, piuttosto che navigare nel mare aperto affrontando i rischi ma non rinunciando alla bellezza dell'infinito. Ogni bellezza ha in sé un rischio, ma non c'è rischio che tenga di fronte a un cosa bella come la vita e quando barattiamo decidendo di non varare ma di ormeggiare, prima o poi ci perdiamo, smettiamo di vivere per davvero. Vivere è navigare. Tante volte ci è stato detto che l'uomo greco è come Ulisse che vuole tornare da dove è partito mentre l'uomo biblico è come Abramo che lascia la sua terra verso dove Dio gli indica. Io credo che entrambe le figure non dicono fino in fondo la dinamica del vivere perché quando si prende il largo non si torna dove si è partiti ma allo stesso tempo la navigazione se impone una direzione non indica una meta stabilita, è più precaria e rischiosa della tranquillità che scaturisce dal sapere dove andare o dove tornare alla fine di tutto; siamo senza patria e senza terra, perché non apparteniamo per sempre a un luogo né è definitivo il verso dove, ma solo la direzione che la stella, magari della fede, ci indica, orientandoci nella navigazione incerta e fascinosa del vivere. Non ti perdi quando lasci quello che conosci ma quando non hai un luogo che ti indichi dove andare, quale rotta seguire. Ebbene viene sempre il tempo di varare di nuovo la nave, di dotarla di quanto occorre per affrontare un viaggio nuovo e lungo, senza approdi e senza ormeggi. Bisogna riprendere la vita in mano, decidersi a fare ordine come quando sulla scrivania tutto disordinatamente si è accumulato, finché quel luogo diventa inutile e così ci si decide ad assegnare ad ogni cosa il suo giusto posto, disfacendoci di tutto ciò che non serve ed impedisce chiarezza e lavoro. It's time to make a move...

Commenti

Stefano Del Torto 3 Maggio 2009

Bellissima pubblicazione davvero!!! Sono pienamente d' accordo con te...però prima di "partire" bisogna,a mio avviso, preparare la propria barca in quel "porto sicuro" ke è la nostra casa, i nostri affetti,la nostra famiglia e sapere che in ogni caso ,in questa vita, abbiamo ancora un luogo dove rifugiarci e dove magari prepararci ancora meglio nel caso in cui qualche "matizia" ci dia problemi...insomma una sorta di "pit-stop" Sorriso

Un abbraccio

Stefano

 

Antonio 6 Maggio 2009

Si, mi trova d'accordo... Le dinamiche che ci circondano non sempre sono decifrabili però, l'alone di mistero resta in molti casi. Viktor Frankl ha scritto pagine bellissime sulla necessità dello scopo (la c.d. logoterapia). Il discorso si incatena anche sulla libertà di cui possediamo, una sorta di oceano che ci sta davanti, l'opzione fondamentale... Cosa ci spinge? Esseri contingenti o qualcos'altro? Ognuno dà la sua risposta ma molti non si pongono proprio il problema né la stanchezza della riflessione: semplicemente si lasciano vivere in modo anonimo più che vivere da protagonisti gli eventi. Saluti.

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