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31 Dicembre 2008

Cala il sipario anche su questo 2008 mentre la gente festeggia, mangia, beve, scopa; ma che cosa c'è da festeggiare? Che cosa significa la fine di un anno? Quando mai una scadenza di calendario, come il 31 dicembre ha cambiato o ha significato qualcosa nella vita? Un'occasione per fare festa, tutto qui, ma non c'è certo bisogno di una serata qualunque come quella di oggi se uno vuole festeggiare. Vorrei già andare a dormire pensando che domani sarà un giorno qualunque, come quello che sta trascorrendo e che magari ben altre date avranno importanza e significato per me nei prossimi mesi. Eppure uno sguardo indietro è una tentazione forte, un guardare a questo anno che, come e più degli altri, è stato velocissimo, iniziato quando ero ancora in casa per i postumi dell'incidente e quasi finito in un periodo in cui, per uno strano scherzo della vita, mi ritrovo ad andare in una parrocchia dove non mettevo piede da nove anni, con un terremoto in mezzo. E poi ripenso al rientro a Roma, la fatica e la paura dei primi giorni fra dolori e timori per le mie ossa rotte; e poi subito il laser all'occhio sinistro, una figata grande, e la pasqua, così in anticipo. E tutto scorre, l'intervento all'altro occhio, il lavoro all'università, la soddisfazione per un libro di studio appena pubblicato e l'esordio nelle collane di "spiritualità". E poi l'Irlanda, il mio terzo anno, il mio terzo mese malgrado il freddo e le nuvole. E poi il matrimonio di Alessandro e Adele, le giornate al mare, il rientro anticipatissimo a Roma, la nuova esperienza all'Università e la rinuncia ai rientri del fine settimana. È la vita, quel groviglio di incontri, occasioni e circostanze che io non so fare altro che amare nonostante tutto. E allora con animo grato a Chi mi fa esistere ancora guardo speranzoso a ciò che sta davanti sapendo che tutto appartiene ad un Altro il cui disegno buono è l'ordito sul quale si tesse il vestito della mia piccola vita.

Commenti

Antonio 17 Gennaio 2009

Concordo con lei sull'inutilità dei festeggiamenti di fine anno, infatti quest'anno sono andato direttamente a letto...!

Mario 24 Gennaio 2009

Roma,25.1.2009

Caro corregionale,

mi sono imbattuto per puro caso nel tuo nominativo ricevendo oggi la pubblicazione periodica su Internet di "Comunicazione Molisani", proveniente dal Canada e dedicata questa volta a San Felice /già "Slavo", poi "del Littorio" (sic!) ed ora purtroppo soltanto "del Molise"!/, una delle tre superstiti colonie di lingua croata della Provincia di Campobasso, insieme a Montemitro ed al mio paese natale Acquaviva Collecroce-Kruč.

    A proposito del tuo Blog del 31 dicembre 2008, permettimi di dirti che sono rimasto letteralmente esterrefatto nel leggere il penultimo verbo (in 3.a persona singolare) da te usato disinvoltamente nella prima frase del tuo Blog ! Soprattutto dopo aver letto il tuo ricco "curriculum vitae et studiorum".....

     Sarà che io forse ho ricevuto un'educazione troppo all'antica durante il Ginnasio ed il Liceo Classico dei Salesiani, ma mai mi sarei sognato di sentir pronunziare o scrivere quel termine da parte di un Sacerdote ed insegnante !

      Se tu avessi usato il verbo "fornicare" (dato che hai anche studiato nei pressi dei fornici del Colosseo!), credo che sarebbe stato senz'altro meglio ed altrettanto esplicito ed efficace! Non pensi?

       Non sapevo che eri stato anche nelle Parrocchie di Montemitro e San Felie, dove - non so se l'hai saputo - ora ci sono dal  settembre scorso dei Parroci francescani croati, come pure nella mia Acquaviva C.C. - Evidentemente l'appello lanciato dal compianto Cardinale Franjo Šeper (già Arcivescovo di Zagabria/Zagreb e poi Prefetto dell'ex Sant'Uffizio, sotto 3 Papi)) nel lontano 1967, quando lo accompagnai per la prima volta nei nostri tre Comuni, š stato nuovamente raccolto dalla Provincia Francescana di Spalato/Split, dopo un primo decennio di soggiorno tra noi di fra' Petar Milànović.  

     Infine mi fa piacere ricordare che una sorella della mia nonna materna, Adele de Notariis di Castelmauro, era andata sposa agli inizi del secolo scorso ad un Sabetta di Guglionesi e chi sa che non ci sia anche qualche lontano ramo di parentela tra le nostre famiglie!

      Visto che siamo entrambi a Roma ed io abito a due passi dalla Lateranense, potremmo incontrarci qualche volta per un caffè sulla Piazza S.Giovanni.

      Molto cordialmente!

                                      Mario Spadanuda

P.S. - Nella mia qualità di Slavista, anche se da poco in pensione, mi permetto di invitarti ad usare sempre per il futuro la doppia denominazione, italiana e croata, per le città dell'Istria e della Dalmazia, anche perchè la sola denominazione croata di Pola, che tu hai adoperato nel tuo 'curriculum' susciterebbe certamente la stupita ilarità nei 25milioni di Romeni!... (come mi fa notare sempre  la mia attuale consorte, di cittadinanza moldava, ma di nazionalità romena)

 

Antonio 25 Gennaio 2009

Lascio ai visitatori del blog l'interpretazione di questa storiella (letta da qualche parte) e l'applicazione alle molteplici fattispecie della variegata vita di quel complesso essere che è l'uomo:

Due monaci stavano camminando (penso meditando e discorrendo di nobili cose); ad un certo punto la strada era interrotta da uno stagno di acqua fangosa. Occorreva attraversarlo e ciò significava sporcarsi. Una ragazza, in abiti succinti, si trovava lì e non aveva il coraggio di farlo. Uno dei monaci pensò: "Io sono un monaco, uomo di Dio, e non posso toccare costei, ciò mi produrrebbe sconquassi interiori e tentazioni". L'altro prese in braccio la ragazza e la portò dall'altra parte. Tutti poi si salutarono. Il monaco "santo" , una volta arrivati al monastero, disse all'altro: "Perchè hai messo in braccio quella donna? Hai visto com'era vestita? E' pericoloso". L'altro gli rispose: "Io ho messo in braccio la ragazza e l'ho lasciata lì, tu invece ancora la porti nel cuore".

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