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A che serve Dio quando tutto va bene nella vita?

Non mi è mai piaciuta l'idea che di Dio si debba parlare il più delle volte dinanzi ai problemi e alle cose che non funzionano nella vita. Quando hai un problema, quando rispetto a certe realtà ti senti impotente, quando ti accorgi che potresti non essere all'altezza del da farsi, allora è "spontaneo" rivolgersi a Dio, perchè la Tac che devi fare abbia un certo esito, o un rapporto faticoso non abbia a finire, fino alle cose più piccole, come quando uno si augura che tutto vada bene. Quando poi l'irreparabile accade te la prendi con Dio perchè ha taciuto, non ha fatto nulla. Ricordo quanto mi disse con voce arrabbiata e rassegnata un uomo; mentre la moglie non ancora cinquantenne era ammalta di tumore al seno, egli non faceva altro che pregare, anche di notte, ma il miracolo della guarigione non avvenne e Filomena morì. Ce la prendiamo con Dio ma ce la prendiamo con la realtà che è dolorosa, che ci assegna esperienze e destini che non abbiamo meritato. Quale colpa c'è da espiare se pensiamo al dolore della vita che nella maggior parte dei casi non ci procuriamo da noi stessi? Se penso alla fatica della vecchiaia anche mi viene da pensare: ma che male abbiamo fatto? E allora, per non divagare, il Dio invocato quale forza capace di correggere il male pare non possa fare nulla, eppure è quasi "naturale" rivolgersi a lui, come quando da bambini cerchiamo la presenza dei genitori per aiutarci a risolvere ciò che a noi bambini appare irrisolvibile. Ma quando tutto va bene nella vita, quando la salute è grande che nemmeno la riconosci come un bene, tanto ti è normale e connaturale, quando gli affetti vanno a gonfie vele, il lavoro ti dà soddisfazione e, come si dice banalmente, "sei in pace con tutti", si può anche pensare a Dio come qualcuno da ringraziare ma la cosa non regge; quanto tutto va bene o te ne attribuisci il merito o non ti accorgi prima o poi di qualcuno che certe cose te le dà o te le dovrebbe preservare.

Insomma, che ne rimane di Dio? Nulla finché lo pensiamo così, come colui da invocare nel male e, soprattutto, come colui da ringraziare nel bene. Ma c'è un altro modo di pensare e di fare spazio a Dio. Questa è la fede come esperienza, credo; ma su questo parleremo un'altra volta... 

Commenti

Marco 24 Dicembre 2007

 

Caro Don Antonio,

ho scoperto per caso il Vostro sito - vogliate accettare la seconda persona plurale, con la quale mi rivolgo a coloro che stimo e rispetto - navigando per caso sulla rete. Davvero complimenti. Complimenti che Vi giungono ancor piu' sinceri, dal momento che provengono da chi ha un approccio al Sacro di tipo non fideistico. Le mie basi di studio - rectius, di ricerca - sono quelle fornite dalla filosofia platonica, alessandrina, rinascimentale ed illuminista (dai Neoplatonici a Filone d'Alessandria, da Ficino a Pico, da Voltaire a Rousseau), in epoca posteriore racchiusi nella Piramide Iniziatica della Massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato

Il tema che affrontate in questo post, ossia quello della teodicea, è sicuramente il piu' affascinante ed, oserei dire, proprio perché è tale, resta al giorno d'oggi irrisolto.

Se Dio è onnioipotente, siamo soliti affermare, come mai "permette" tutto il male che c'è nel mondo ed, in particolare, presso coloro che non hanno colpe? Questa affermazione potrebbe essere messa in discussione in piu' punti. Forse Dio non è onnipotente? Forse Egli non "permette" in quanto sopraffatto da forze contrarie, bensì "vuole"? Forse ognuno di noi, a prescindere da ciò che pensa, crede, dice o fa, è portatore di colpa e di peccato?

Le sfaccettature del tema sono innumerevoli ed, al contempo, lo spunto di riflessione che colgo tra le Vostre parole è d'ausilio per la mia crescita spirituale.

Vi ringrazio e Vi auguro una radiosa festa del Sole Invictus.

Marco

 

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