Editoriale – 116
Omelia nel funerale di Rita
(01 maggio 2022)
Ci ritroviamo insieme questa sera a dare il nostro ultimo saluto alla cara Rita che dopo una lunga battaglia contro la malattia che l'ha segnata negli ultimi anni si è dovuta arrendere al male, troppo potente perché lei, come tutti noi, potesse resistere. Lo facciamo in questa chiesa che era la sua chiesa, un luogo dove tutte le domeniche, finché ha potuto, era solita essere presente seduta al consueto banco alla mia destra con spesso accanto mia madre che lei riaccompagnava a casa dopo la messa… tutto sembra così lontano… e in questa chiesa l'ultima volta in cui ci siamo incontrati è stato il giorno in cui ha ricevuto il sacramento della confermazione, come ricordavo questa mattina al vescovo.
Dunque ci congediamo da Rita su questa terra, nella fede sappiamo che non è un addio ma un arrivederci, tuttavia questo non cancella l'abisso di dolore che chi l'ha amata vive in questo momento. Il vangelo di questa domenica ci aiuta ad entrare nel senso di quello che stiamo celebrando. Abbiamo ascoltato il cap. 21 del vangelo di Giovanni, è la seconda conclusione del vangelo, è l'ultimo atto della vita terrena da risorto di Gesù; dopo la sua ultima apparizione sul lago di Tiberiade gli apostoli non lo vedranno più, dovranno vivere della sua memoria, certi della sua presenza ma senza più il conforto della sua fisicità, della sua compagnia corporea di cui avevano goduto per quei tre anni che avevano segnato e sconvolto la loro vita. Così per Rita, oggi è il suo ultimo atto su questa terra, è il momento conclusivo, non la vedremo più, non potremo gioire e rallegrarci della sua presenza, del suo affetto, del suo sorriso, della sua gentilezza.
Il vangelo ci parla anche dello sconforto degli apostoli. I fatti di Pasqua sono passati da qualche giorno, il dolore è vivido, tuttavia bisogna continuare a vivere riprendendo da dove avevano lasciato, ricominciando la loro vita. Ma c'è una profonda tristezza negli apostoli, non espressa, e nel silenzio che riempie il loro stare insieme c'è chi propone di andare a pescare, di tornare del tutto alla vita consueta di prima. Lo sgomento degli apostoli è lo stesso sgomento di noi presenti, di coloro che piangono la scomparsa di Rita, che guardano a come sarà la vita senza di lei. C'è un dolore inespresso negli apostoli, ce lo racconta Giovanni che era presente con loro quel giorno a condividere tristezza solitudine e dolore.
Poi però a quelle persone sconfortate e segnate da quel lutto accade una cosa sconvolgente; il Signore si fa ancora una volta presente, è l'ultima volta ma quella che genererà in loro la certezza che egli era vivo, che non sarebbe più morto, che li avrebbe accompagnati per sempre, che non li aveva ingannati e che lui era veramente quella vita eterna di cui aveva parlato e che aveva promesso a quanti avrebbero creduto in Lui.
Il terzo momento del vangelo che abbiamo ascoltato è il dialogo con Pietro. Pietro aveva un conto in sospeso, portava dentro la colpa del rinnegamento, del tradimento e il Signore vuole pacificarlo, vuole fargli capire che quello che era successo non era importante, non era la cosa che poteva definirlo. Un dialogo in cui risuona per tre volte la domanda: "mi ami tu?", "mi vuoi bene?" e in cui dalla risposta senza esitare di Pietro arriviamo alla confessione di Pietro: "tu sai tutto". Immagino che il Signore dall'altra parte abbia posto o porrà a Rita la stessa domanda: "mi hai voluto bene tu?"; perché alla fin fine questa è la domanda che resta, questo è quello che conta davanti a Dio: "mi hai voluto bene tu?; o anche "hai voluto bene, tu?" o meglio ancora "mi hai voluto bene in tutti coloro a cui hai voluto bene?"; "mi hai amato in tutte le cose che hai vissuto, nelle fatiche e nelle gioie, nelle cose belle e in quelle dolorose, nelle incomprensioni e mortificazioni e nei riconoscimenti"? "Mi hai amato tu anche quando hai dovuto portare la croce come l'ho portata io"?
Solo l'amore salva, solo l'amore resta oltre il tempo per l'eternità. Il Signore come disse a Pietro ripeterà a Rita "seguimi", ovvero "vieni dove sono io, fai parte anche tu di questo popolo sterminato che rende lode a Dio, che ha lavato le sue vesti nel sangue dell'agnello, che il dolore ha forgiato e purificato, che la croce ha reso puri davanti a Dio".
Si è conclusa la storia della nostra cara sorella Rita su questa terra, ma è iniziata per lei l'eternità in cui non ci sono più dolore e fatica, dove tutto finalmente diventa trasparenza, dove è possibile continuare ad amare seppure in modo diverso. I nostri cari non ci abbandonano ma continuano a prendersi cura di noi anche se non più nel modo consueto a cui siamo abituati. Solo questo ci impedisce di sentirci per sempre smarriti e traditi e impedisce che prevalga quel senso di nulla e di inutilità che avvertiamo ogni volta che ci congediamo da chi ci ha amati e che noi abbiamo amato. C'è una frase spesso ripetuta, erroneamente attribuita a sant'Agostino che recita così: "Signore, non ti chiediamo perché ce l'hai tolto, ma ti ringraziamo per il tempo che ce l'hai donato". Sarebbe una frase vuota senza la fede ma invece è ciò che vogliamo ripetere questa sera. La vita terrena si è conclusa per Rita quando aveva ancora molto da vivere e da dare, tuttavia quello che conta di più è la gratitudine per il dono della sua presenza, della sua amicizia, del suo amore.
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